Perché il patto commissorio è vietato?
Il patto commissorio, nell’ambito del diritto civile, rappresenta un accordo contrattuale di particolare rilevanza.
L’articolo 2744 del Codice Civile sancisce la nullità del patto commissorio, e cioè dell’accordo che prevede il trasferimento della proprietà della cosa data in pegno o in ipoteca al creditore nel caso di mancato pagamento del debito al termine concordato.
Il secondo comma della medesima disposizione stabilisce la nullità di tale accordo, anche se stipulato successivamente alla costituzione del pegno o dell’ipoteca.
Difatti, testualmente:
“È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.
Secondo l’orientamento prevalente, l’articolo 2744 c.c. costituisce una norma di divieto che comporta la nullità parziale e testuale, ai sensi degli articoli 1418 e 1419 c.c., di tutti quei patti coevi o successivi che prevedono il trasferimento della proprietà del bene dato in pegno o in ipoteca al creditore in caso di inadempimento.
Art. 2744 c.c.: analisi e divieto del patto commissorio
Per quanto riguarda la ratio (della previsione) del divieto del patto commissorio, esistono interpretazioni divergenti all’interno della “comunità giuridica”.
Parte della dottrina sostiene che il divieto sia volto a proteggere gli interessi del debitore da comportamenti arbitrari del creditore, evitando – così – il trasferimento automatico della proprietà in caso di inadempimento.
Di diverso orientamento, invece, sono coloro che considerano il divieto in questione come il mezzo per garantire la c.d. par condicio creditorum, impedendo a un creditore di soddisfare le proprie pretese a discapito degli altri.
La giurisprudenza, in ogni caso, ritiene che l’art. 2744 c.c. tuteli sia i creditori che il debitore, vietando altresì l’ipotesi di autotutela esecutiva privata, non espressamente prevista dalla legge.
Evoluzione del divieto: gli sviluppi dottrinali
La visione tradizionale limita l’applicazione del divieto del patto commissorio a patti accessori legati a garanzie reali come pegno e ipoteca, dove il trasferimento di proprietà avviene in caso di inadempimento.
Tuttavia, nel tempo, il divieto è stato esteso anche a patti atipici, obbligatori e autonomi, mirando non a definire il patto in sé, ma il risultato: il trasferimento di proprietà come forma di garanzia.
La giurisprudenza ha ampliato l’applicazione del divieto anche a vendite condizionate all’adempimento o alla risoluzione, valutando il fine effettivo perseguito dai contraenti.
La dottrina, per esempio, riferisce il divieto del patto commissorio non solo alle vendite condizionate all’adempimento, ma anche a quelle con condizione risolutiva, considerandole come trasferimenti a scopo di garanzia.
In base a tale considerazione, il divieto è esteso anche alle vendite con condizione risolutiva e ai patti di retrovendita.
Nonostante la divergenza di opinioni, in dottrina, sulla differenza temporale nell’effetto di trasferimento tra vendite sospensivamente condizionate e quelle a condizione risolutiva, si sostiene che il divieto non si applichi a quest’ultima.
Inoltre, il contratto di mutuo con clausola di trasferimento del bene in caso di mancato rimborso entro un termine specifico è stato vietato, essendo ormai pacificamente considerato una forma di patto commissorio obbligatorio.
Avrai sentito parlare spesso di patto commissorio e di patto marciano, ma quali sono le differenze?
Patto commissorio e patto marciano
Il patto marciano è definito come il patto che conferisce al creditore il diritto di soddisfarsi, in caso di inadempimento, su un determinato bene del debitore o di un terzo secondo giusta stima successiva alla scadenza del debito.
Lo stesso patto, secondo l’orientamento maggioritario, sembra superare il divieto previsto dall’art. 2744 c.c.
In particolare, sembrerebbe offrire una garanzia aggiuntiva rispetto all’ipoteca tradizionale, soddisfacendo le esigenze delle banche con un investimento temporale ed economico minore.
Nel patto marciano, un bene immobile ipotecato, il cui valore di vendita è inferiore al suo valore reale, può essere acquisito dal creditore in caso di inadempienza da parte del debitore.
L’acquisizione avviene a condizione che:
- Il valore del bene ipotecato sia stato stimato da un terzo al momento dell’inadempienza.
- Sia rispettato e assicurato il diritto del debitore di ricevere la differenza tra il valore del bene e il debito ancora esistente, se esiste un’eccedenza.
Una distinzione importante tra il patto marciano e il patto commissorio è rappresentata da fatto che quest’ultimo non prevede il calcolo o la restituzione delle eccedenze al debitore.
Infatti, a differenza del patto commissorio, nel patto marciano sembrano essere tutelati gli interessi di entrambe le parti.
Inoltre, la validità del patto marciano è supportata anche da disposizioni normative specifiche presenti negli articoli 48 bis TUB e 120 quindecies del Decreto legislativo 385/1993.
Tali norme disciplinano i “nuovi marciani” tipici dell’ambito bancario e creditizio, estesi poi ad altri ambiti, a patto che si verifichino sempre 1) la restituzione dell’eccedenza e 2) la stima imparziale del bene da parte di un terzo.
In conclusione, sebbene il divieto del patto commissorio abbia subito evoluzioni interpretative, resta centrale nel diritto civile italiano come garante degli interessi di creditori e debitori.
La sua applicazione e le eccezioni alla stessa applicazione dipendono dalle situazioni specifiche e dalle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali.
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